Materiali e contributi
Pubblichiamo un articolo della dottoressa Caterina Pasolini dal titolo “Rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione dell’indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale nelle gare d’appalto”.
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Con l’ordinanza 16 dicembre 2015, n. 1745, il TAR Piemonte ha sollevato davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con i principi comunitari della normativa nazionale italiana sull’obbligo di indicazione separata dei costi per la sicurezza aziendale nell’ambito di una gara d’appalto di lavori pubblici.
Preliminarmente occorre chiarire che, per costi di sicurezza, si intendono sia gli oneri per le cosidette “interferenze”, i quali sono predeterminati dalla stazione appaltante e riguardano i rischi relativi alla presenza nell’ambiente di soggetti estranei chiamati ad eseguire il contratto, sia gli oneri da rischio “specifico” o “aziendale”, la cui quantificazione spetta a ciascuno dei concorrenti e varia in rapporto alla qualità ed entità della sua offerta (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, 23 gennaio 2014, n. 348).
Nel campo degli appalti di lavori pubblici manca una previsione normativa sull’obbligo di indicazione separata nell’offerta dei costi di sicurezza, obbligo che invece è previsto per gli appalti pubblici di servizi e di forniture nell’articolo 87, comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006: “nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi e delle forniture”.
Tale ambiguità normativa ha fatto sì che si sviluppassero due opposti orientamenti giurisprudenziali.
Secondo una prima lettura, la ratio dell’articolo 87, comma 4 risponde a finalità di tutela della sicurezza dei lavoratori e, quindi, a valori sociali di portata costituzionale che assumono rilevanza anche nel settore dei lavori pubblici. Deporrebbe in tal senso anche la collocazione sistematica della norma citata, che è inserita nella parte dedicata ai “contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (Consiglio di Stato, Sezione V, 19 luglio 2013, n. 3929; Sezione III, 3 ottobre 2011, n. 5421). Si è poi osservato che l’indicazione separata dei costi di sicurezza costituisce sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e forniture “un adempimento imposto dagli artt. 86 comma 3 bis e 87 comma 4, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 all’evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto delle norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare” (Consiglio di Stato, Sezione III, 3 luglio 2013, n. 3565, si vedano anche Consiglio di Stato, Sezione V, 25 novembre 2015, n. 5355; Consiglio di Stato Sezione V, 1 ottobre 2015, n. 4583).
Altra parte della giurisprudenza ritiene, invece, che “l’obbligo di dichiarare a pena di esclusione, i costi per la sicurezza interna previsto dall’art. 87 comma 4, del d.lgs. n. 163/2006 si applica alle sole procedure di affidamento di forniture e servizi” (Consiglio di Stato, Sezione V, 7 maggio 2014, n. 2343; 9 ottobre 2013, n. 4964).
A causa di tale contrasto interpretativo, la questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha statuito che “nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista dal bando di gara” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 20 marzo 2015, n. 3; si veda anche Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 2 novembre 2015, n. 9).
Nel caso che ha originato l’ordinanza in commento, il TAR Piemonte si è trovato a decidere una controversia nella quale l’amministrazione aveva annullato in autotutela l’aggiudicazione provvisoria disposta in favore di una società e conseguentemente aveva adottato un provvedimento di esclusione della stessa dalla procedura di gara, in dichiarata adesione all’orientamento giurisprudenziale di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 20 marzo 2015, n. 3, “in quanto l’offerta presentata non specifica i costi interni per la sicurezza del lavoro”.
Il TAR Piemonte non ritenendo priva di profili problematici l’interpretazione fornita dall’Adunanza Plenaria nelle citate pronunce ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione chiedendo di conoscere “se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento […], ostino ad una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 87, comma 4, e 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, e dell’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, così come interpretato, dalle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015”.
Nello specifico il TAR ha ravvisato diversi profili di incompatibilità dell’interpretazione fornita dall’Adunanza Plenaria con la normativa dell’Unione, in particolare con il principio del legittimo affidamento, del favor partecipationis e della parità di trattamento sostanziale tra imprese.
La violazione del principio del legittimo affidamento è stata riscontrata dal TAR sulla considerazione che l’obbligo di indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale non era contenuta né nella disciplina di gara né tanto meno nel diritto positivo, la cui oggettiva incertezza ha appunto imposto la necessità dell’intervento dell’Adunanza Plenaria.
In relazione, poi, al favor partecipationis e alla parità di trattamento tra imprese, nell’ordinanza di rimessione il TAR sostiene che l’ordinamento nazionale rischierebbe di venir meno a tali principi dato che nel caso in esame l’amministrazione appaltante non aveva lamentato che l’offerta presentata dalla società fosse carente in punto di costi di sicurezza aziendali. L’unica mancanza dell’impresa risiedeva infatti nell’omessa indicazione separata dei costi di sicurezza, fermo restando che tali costi risultavano comunque coperti dall’offerta presentata. Il che ha condotto il TAR ad affermare che la società “è stata esclusa per ragioni di natura esclusivamente formale, senza che sia stata nemmeno concessa la possibilità, mediante il c.d. soccorso istruttorio, di dimostrare che effettivamente l’offerta presentata fosse adeguata anche con riguardo ai costi di sicurezza aziendale”.
Sempre riguardo al favor partecipationis, a parere di chi scrive, è ravvisabile un ulteriore profilo di criticità dell’interpretazione dell’Adunanza Plenaria, in riferimento al principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’articolo 46, comma 1-bis del decreto legislativo n. 163/2006, il quale stabilisce che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti,[…]per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali”.
Facendo applicazione di tale principio, nel silenzio delle disposizioni normative vigenti sul punto, l’interpretazione di queste ultime non può certamente spingersi sino al punto di costruire un obbligo la cui violazione determini l’esclusione automatica di un concorrente.
Ciò in coerenza con il principio, affermato dal Consiglio di Stato in una recente sentenza, secondo cui “lo scopo della disposizione dettata dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) è principalmente quello di evitare la possibile esclusione da una gara pubblica non a causa della mancanza dei requisiti (soggettivi o oggettivi) di partecipazione ma a causa del mancato rispetto di adempimenti solo documentali o formali o privi, comunque, di una base normativa espressa” (Consiglio di Stato Sezione III, 20 gennaio 2016, n. 193).
Sulla scorta di quanto precede, il TAR Piemonte è giunto a sostenere che l’applicazione rigorosa della legge italiana, così come interpretata dall’Adunanza Plenaria, condurrebbe all’automatica esclusione, senza previo soccorso istruttorio, delle imprese che non abbiano indicato separatamente i costi di sicurezza, indipendentemente dal fatto che l’offerta fosse nella sostanza adeguata con riguardo ai costi di sicurezza aziendale; tutto ciò, ad avviso del TAR stesso, restringerebbe indebitamente la platea dei possibili partecipanti alla gara, in violazione dei principi di libertà nella concorrenza e nella prestazione dei servizi sul territorio dell’Unione.
Occorre notare che le perplessità sollevate possono trovare spazio anche per quanto riguarda gli appalti pubblici di servizi e di forniture; a ben vedere, infatti, anche in presenza di una norma chiara, come l’articolo 87 comma 4, l’esclusione automatica, a causa della mancata indicazione dei costi di sicurezza, potrebbe costituire un mero formalismo o addirittura un’alterazione della concorrenza tra imprese.
In proposito si consideri ad esempio il caso in cui l’esecuzione del servizio o della fornitura non comporti alcun rischio specifico per la sicurezza; in tale ipotesi appare evidente che l’indicazione in sede di offerta dei relativi costi integrerebbe un requisito meramente formale.
Su tale punto il Consiglio di Stato ha chiarito che nell’ipotesi in cui “non è dimostrata la presenza di fattori che imponessero la previsione specifica di profili di sicurezza connessi alle prestazioni in gara e vista la riconosciuta illegittimità di clausole che obbligano i concorrenti a specificare nella propria offerta la consistenza degli oneri per la sicurezza in assenza conclamata di rischi, appare assolutamente meccanicistico e del tutto non pertinente con gli interessi sostanziali dell’Amministrazione l’applicazione di una norma basilare nel presidio di situazione giuridiche massimamente rilevanti, ma che anch’essa, anche per la sua natura centrale, va rispettata nei casi in cui sussistano quelle ragioni che è chiamata a presidiare” (Consiglio di Stato, Sezione V, 22 gennaio 2014, n. 330; cfr. altresì Consiglio di Stato, Sezione V, 17 gennaio 2014, n. 180; nella medesima prospettiva, ancor più recentemente v. TAR Lazio, Roma, Sezione I-bis, 14 marzo 2014, n. 2905).